REPUBBLICA ITALIANA - IN NOME DEL POPOLO ITALIANO II Pretore di Como - Giudice del Lavoro ha emesso la seguente: S E N T E N Z A Nella causa di lavoro promossa con ricorso depositato in data 14.01.1999 DA M.A., elettivamente domiciliata in Milano, Via De Amicis n.61 presso lo studio dellavv. Michele Picerno che la rappresenta e difende in giudizio per delega a margine del ricorso. RICORRENTE CONTRO Parrocchia dei "S.P.P." di V. di C., in persona del parroco, Don C.S., elettivamente domiciliata in C., Via O. n.2, presso lo studio dellavv. L.T. del Foro di C. che, unitamente allavv. G. E. del Foro di M., la rappresenta e difende in giudizio giusta procura in calce al ricorso notificato. RESISTENTE OGGETTO: controversia di lavoro. Causa assegnata a sentenza alludienza del 10.03.1999 CONCLUSIONI Per la ricorrente: "Voglia il Pretore di C. in funzione di Giudice del lavoro, respinta ogni contraria istanza, cosi giudicare previa integrazione con IINPS in persona del legale rappresentante pro-tempore con sede in Roma via Ciro II il Grande: accertare e dichiarare la natura subordinata del rapporto di lavoro instaurato dalla signora M.A. e la Chiesa di S.P.P.; il diritto di riconoscimento della prima categoria del contratto dei sacristi; e conseguentemente condannare la parrocchia di S.P.P. al pagamento della somma di L. 227.645.710 a titolo di differenze retributive oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo. Con vittoria di spese, diritti ed onorari.
Per il resistente: "1) dichiarare la nullità del ricorso introduttivo del presente giudizio; 2) dichiarare la carenza e/o difetto di legittimazione passiva della
parrocchia convenuta; FATTO Con ricorso depositato in data 14.01.1999, M.A. lamentava che la parrocchia di S.P.P. di V., per cui aveva lavorato dal 1 4 87 in poi, non le avesse corrisposto la retribuzione dovuta quale dipendente ai sensi del CCNL sacrestani. Affermava di aver lavorato dal lunedì al venerdì quale "collaboratrice liturgica e catechista parrocchiale" per più ore al giorno, sotto la vigilanza del parroco. Chiedeva il riconoscimento della natura subordinata del rapporto e la corresponsione degli arretrati retributivi per Lit. 209.870.096 oltre il TFR per la somma di L. 17.775.627. Si costituiva la parrocchia di V. e contestava le domande. In rito, eccepiva la nullità del ricorso, in quanto carente dei fatti costitutivi del "petitum". Contestava la propria legittimazione passiva in quanto lasserito rapporto di "locatio operarum" si era stabilito con il defunto parroco, Don T.M.. Eccepiva altresì limproponibilità del ricorso, poiché lart.14 del CCNL prevedeva il previo tentativo di conciliazione presso una commissione paritetica con delegati diocesani. Sottolineava che per gran parte del periodo "de quo" era intervenuta la prescrizione estintiva. Evidenziava lincongruenza della domanda, che faceva riferimento oltre che alla parrocchia, anche alla Chiesa, nella sua eccezione di comunità ecclesiale, carente di personalità giuridica. Nel merito affermava che la domanda era radicalmente infondata in quanto la collaborazione offerta da M. era una forma di volontariato che essa aveva offerto spontaneamente. Ricordava che comunque M., la quale per lungo tempo era stata uninvalida civile e perciò, per postulato, incapace di lavorare, era una pranoterapeuta. Ad essa la parrocchia aveva dato in uso un appartamento in cui abitava tutta la famiglia. Negava lesistenza di un lavoro subordinato ed insisteva per il rigetto del ricorso. Alludienza del 10.03.1999, espletata listruttoria dibattimentale, i difensori concludevano come da verbale in atti. MOTIVAZIONE 1) QUESTIONI PREGIUDIZIALI La difesa del convenuto in memoria ha opposto differenti obiezioni di carattere formale. Le quali vanno esaminate per prime. Leccezione di nullità del ricorso appare infondata. Invero, sebbene la "vocatio in ius" di M. appaia sorvolare sulle mansioni e sui caratteri propri della "locatio operarum" prospettata, essa appare sufficientemente delineata per consentire la difesa di controparte. Tantè che le 15 pagine del ricorso introduttivo hanno prodotto una replica del convenuto di ben 32 pagine di memoria. Leccezione di nullità e dunque da rigettare. Parimenti infondata e lobiezione di difetto di legittimazione passiva, relativamente allex parroco T.M.. Nessuna prova è emersa che don T. si avvalesse delle prestazioni di M. per proprio personale giovamento e non già come parroco di V.. Anzi le emergenze processuali indicano esattamente il contrario. Infatti i testi C. e M. hanno riferito che M. preparava la Chiesa per le cerimonie; inoltre hanno dichiarato che gli introiti della libreria a cui collaborava anche M. erano fruiti dalla parrocchia e non già dalla persona di don T.. Anche la terza obiezione, concernente limprocedibilità e infondata. Infatti il previo tentativo di conciliazione ad opera di una commissione paritetica laico-ecclesiastica è propria di persone aderenti ai sindacati stipulanti il CCNL sacristi. Ora, né M. né la parrocchia di V. aderivano ad alcuna organizzazione sindacale. II CCNL invocato e quindi inoperante nei loro confronti (art. 39 Cost.). Tutte le eccezioni formali convenute sono perciò da rigettare. 2) CRITERI DISTINTIVI La "quaestio decidendi" consiste nellaccertare se il contratto convenuto tra M.A. e Parrocchia S.P.P., sia da qualificarsi come una "locatio operarum" (lavoro subordinato) o in altro modo. In astratto, la volontà delle parti non sempre è determinante nella individuazione del "nomen juris" del contratto anche se costituisce un elemento importante per la qualificazione giuridica del rapporto: Cass. 29.11.88 n. 6439; Cass. 5.12.88 n. 6616; Cass. 13.3.90 n. 2024; Cass. 3.4.90 n. 2680. La volontà delle parti può costituire un valido punto di partenza nella ricerca del contenuto negoziale del contratto (Cass. 17.4.90 n. 3179; Cass. 15.12.90 n. 11925; Cass. 7.2.91 n. 1245). Lindividuazione del "nomen juris", compito del giudicante, indipendentemente dalla volontà delle parti, deve essere accertato valutando le diverse circostanze di fatto del contratto. Un orientamento della Corte indica come elemento di rilievo, per distinguere i due rapporti, la subordinazione, sia pure in unione ad altri indizi. La subordinazione, sulla base di concetti già affermati precedentemente (Cass. 10.11.71 n. 3208), e definita come "lassoggettamento gerarchico del prestatore alle direttive del datore di lavoro, inerenti allintrinseco svolgimento della prestazione lavorativa" (conf.: Cass. 2.3.83 n. 1568; Cass. 2.3.83 n. 1570; Cass. 23.10.91). La subordinazione e delineata (Cass. 25.3.83 n. 2095) come "un vincolo di dipendenza che si estrinseca in istruzioni e controlli del datore di lavoro sulloperato del lavoratore e linserimento stabile del medesimo nellorganizzazione aziendale". Altre pronunce (Cass. 20.4.83 n. 2728; Cass. 17.4.90 n. 3170) intendono la subordinazione come il "particolare vincolo di natura personale che assoggetta il prestatore dopera ad un potere direttivo del datore di lavoro con conseguente limitazione della sua libertà". Un indirizzo del S.C. attribuisce un valore determinante al rischio (Cass. 22.4.83 n. 2779; Cass. 1.4.83 n. 2362; Cass. 16.2.90 n. 1159). Un altro orientamento annette grande rilievo al risultato (opus) (Cass. 3.4.90 n. 2680). In definitiva, si può concludere che lopinione giurisprudenziale prevalente che individua il "ubi consistam" della "locatio operarum" va ricercato nella subordinazione: (Cass. 29.3.90 n. 2553; Cass. 1.1.89 n. 41; Cass. 27.1.89 n. 524). In ogni caso, e lattore che deve dimostrare la fondatezza del proprio assunto, ex art. 2697 c.c.. In base al principio "ei incumbit probatio, qui dicit et non qui negat", spetta a chi sostiene di aver lavorato come dipendente il provare lesistenza e la concomitanza di quegli indizi che il suesposto indirizzo giurisprudenziale indica quali spie della "locatio operarum". 3) VOLONTARIATO Nel caso in esame, le emergenze processuali hanno ampiamente dimostrato la mancanza dei presupposti della "locatio operarum". Il rapporto intercorso tra M. e la Parrocchia di V. è da definirsi come volontariato. Tale istituto giuridico e stato introdotto nel nostro ordinamento con la L. 11.8.91 n. 266. Lart. 2 I comma così indica i requisiti del nuovo negozio: "Ai fini della presente legge per attività di volontariato deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite lorganizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà". Il legislatore ha dunque delineato una nuova figura giuridica per escluderne espressamente lidentificazione con qualsiasi forma di lavoro subordinato o professionale. Il comma 3 dellart. 2 sopracitato stabilisce: "La qualità del volontariato è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con lorganizzazione di cui fa parte". La valutazione ermeneutica della citata norma induce a ritenere che il volontariato ha tutti gli elementi propri della "locatio operarum" salvo alcuni aspetti specifici. Entrambi i rapporti sono contratti giuridici bilaterali di durata, sinallagmatici, consensuali, a effetti obbligatori. Pero la "locatio operarum" e a titolo oneroso, il volontariato e a titolo gratuito. La forma del negozio è libera per entrambi i rapporti. Loggetto del contratto e lo stesso: "necessitas facendi". Cambia invece "la causa" e cioè la funzione economica e giuridica del negozio. Nella "locatio operarum" la "causa" consiste nello scambio tra le prestazioni offerte dal lavoratore e la retribuzione corrisposta dal datore. Nel volontariato, "la causa" del negozio consiste nellofferta di prestazioni in favore di unorganizzazione non lucrativa per finalità solidaristica. Dunque uno dei motivi del negozio, non quello tipico che è la "causa", caratterizza il volontariato. Loperatore accetta di prestare la propria attività, non già per danaro, ma per conseguire un fine solidaristico. Cosi delineato sommamente il "discrimen" tra "locatio operarum" e volontariato, vediamo ora diacriticamente gli elementi essenziali di questo nuovo, negozio giuridico: 1) le prestazioni devono essere: a) personali b) spontanee 3) gratuite; 2) il datore non deve perseguire fini lucrativi; 3) la solidarietà e laspetto prevalente sia del volontario che del datore. Nella fattispecie si osserva che M. ha iniziato ad offrire il proprio impegno nel 1987 e per quasi 10 anni non ha mai sollevato lagnanze. Ciò indica che le sue prestazioni erano spontanee pur essendo, pacificamente, non retribuite. Si tratta quindi di prestazioni oltre che spontanee, personali e gratuite. La gratuita è poi confermata da tutte quelle lettere di ringraziamento del defunto parroco Don T. prodotte dalla stessa M.. In un rapporto di lavoro subordinato apparirebbe bizzarramente anomalo un datore che, in occasioni di ricorrenze, scriva al prestatore frasi del genere: "Ringraziando delle attenzioni che mi sono riservate nel culto divino auguro a T., preziosa collaboratrice liturgica e sensibile catechista parrocchiale, di servire il Signore in letizia" (Natale 93 doc. 3). "Ringraziando lei ed i suoi figli per il servizio svolto in Chiesa parrocchiale auguro ogni bene e un buon proseguimento pasquale" (doc.5). "Ti sono riconoscente, T., per quanto fai con amore e precisione insieme a L. e figli per la nostra bella Chiesa" (doc.6). "Carissima T. con tanta riconoscenza per la sua dedizione ed il suo entusiasmo, le auguro un mondo di bene" (doc.7). "Cara T. con tanta riconoscenza per tutta la preziosa collaborazione in ogni campo, prego per lei e famiglia un Natale ricco di consolazione" (doc.8), e cosi via... Come si vede gli auguri inviati dai preti parrocchiali a T., in occasione delle massime feste religiose, erano accompagnati da sentiti ringraziamenti. Ciò è indice che entrambi le parti del rapporto sapevano che le prestazioni di T. erano gratuite. Infatti non si ringrazia se non per i doni ricevuti. A questo punto occorre verificare se la gratuita dellattrice M. avesse una giustificazione psicologica. E tale motivo soggettivo del negozio emerge chiaramente. M. era una cattolica osservante e come tale si realizzava nellagevolare le finalità religiose della parrocchia. Tanto più fluido fosse apparso il servizio religioso parrocchiale, tanto più il suo spirito cattolico si sarebbe sentito realizzato. La sua religiosità è provata dal fatto che essa assisteva come fedele esposizione M., a tutte le occasioni feriali e festive della parrocchia. Un fedele normale va a messa solo nei giorni di precetto. Uno profondamente motivato segue il servizio divino ogni giorno. Ma una volta al giorno. Per seguire la messa tre volte nei giorni feriali e sei volte in quelli festivi occorre che lesigenza religiosa sia radicatissima. E tale era il caso di M.. In nessun caso infatti la sua partecipazione alla messa può essere considerata come un lavoro. Delle prestazioni lavorative manca qui il "facere", giacche M. seguiva il prete sullaltare, manualmente inoperosa. Le sue preghiere non possono, pena di unassurda logica inammissibile, essere considerate lavoro il cui fruitore fosse il parroco. Dunque, per M., aiutare la parrocchia preparando funerali e matrimoni (aprendo fino al 1994 la Chiesa) rappresentava il conseguimento di un fine solidaristico. Nel caso in esame la finalità solidaristica significa amore per il prossimo, che è uno degli insegnamenti del Cristianesimo, ontologicamente filantropico. Tale era dunque il fine operativo coincidente totalmente con gli scopi istituzionali della parrocchia.In questo senso entrambi perseguirono un fine non lucrativo di tipo solidaristico. Esistono dunque anche gli ultimi elementi essenziali propri del volontariato. Cosi come delineato dallart. 2 l. 11.8.91 n. 266. A questo punto occorre spiegare giuridicamente come si inquadri nellesposto stampo legale la fruizione di un appartamento parrocchiale da parte di M.. La spiegazione discende dalla stessa L.266/91. Il comma 2 dellart. sopra citato recita: "Lattività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Al volontario possono essere soltanto rimborsate dallorganizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per lattività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse". La dazione in precario dellappartamento a M. rappresentava un rimborso spese. Il rapporto in decorso va definito non già come "locatio operarum" ma come volontariato. 4) LOCATIO OPERIS La figura giuridica che più si attaglia alla fattispecie, abbiamo visto essere il nuovo negozio giuridico tipico del volontariato. Ma M. non avrebbe avuto il diritto al riconoscimento del lavoro subordinato neanche se essa avesse proposto il ricorso prima della novella introduttiva del volontariato (11.8.91 L.216). In effetti come abbiamo esposto nel paragrafo 2, incombe allattore provare gli elementi propri della "locatio operarum". Se egli non ottempera lart. 2697 c.c. I° co. la sua domanda va rigettata. Orbene la ricorrente non ha provato in alcun modo lesistenza di quegli elementi indiziari attestanti il rapporto di lavoro subordinato. Come è stato più ampiamente esposto nei II paragrafo, le spie della "locatio operarum" sono diverse e devono essere valutate comparativamente: subordinazione, inserimento nellorganizzazione aziendale, potere disciplinare del datore, orario fisso, retribuzione fissa, assenza di rischio, messa a disposizione delle opere e non dell"opus", etc... Di questi elementi M. non ha provato lesistenza di alcuno. Lunico orario fisso era quello della preparazione degli arredi sacri per le messe. Ma in questo caso la rigidità dellorario era dovuta non già al datore bensì alle esigenze generali del servizio. Per il resto M. aveva possibilità di operare quando e come voleva nellambito dell"opus" da conseguire: preparazione della chiesa per i funerali, per i matrimoni, delle ostie quotidiane, etc.. Essa poteva andare in libreria a "dare una mano" quando voleva e per quanto tempo voleva. Insomma, gli elementi della collaborazione di M. alla parrocchia di V. hanno più i caratteri della "locatio operis" che della "locatio operarum". Ciò nellipotesi che non fosse stato individuato listituto del volontariato. Ma abbiamo visto che il "nomen Juris" del rapporto e "volontariato". 5) LOCATIO OERARUM Nei paragrafi 3 e 4 abbiamo visto come non esistesse un rapporto di lavoro subordinato tra i litiganti. Abbiamo altresì constatato che tra le rispettive prestazioni (collaborazione parrocchiale e precario di un appartamento parrocchiale) non esistesse sinallagma. Ma ipotizziamo pure che le due obbligazioni fossero, non già ciascuna a titolo gratuito, ma entrambe collegate a un vincolo sinallagmatico. In altri termini supponiamo che le prestazioni di M. fossero fornite grazie alla fruizione di un abitazione parrocchiale. Ebbene anche in tal caso ben poco spetterebbe a M.. Infatti essa ha ammesso di non essere iscritta a nessun sindacato. La stessa dichiarazione ha reso il parroco di V.. Dunque il CCNL sacristi indicato dallattrice non si applica nella fattispecie se non per lontano riflesso costituzionale. Invero i CCNL, nella mancata attuazione dellart. 39 Cost. non hanno efficacia "erga omnes" ma, solo per gli iscritti delle organizzazioni stipulate. Orbene né M. né il parroco di V. aderiscono alle o.s.s. firmatarie del CCNL sacristi invocato. Dunque quel contratto collettivo non concerne direttamente le parti in causa. Potrebbe avere un effetto indiretto al fine della determinazione dellequa retribuzione richiesta ex art. 36 Cost. È tale quella coerente alla quantità e qualità del lavoro reso ed ai bisogni della persona umana. Pare al decidente che lequivalente del canone daffitto dellappartamento (circa L.900.000) costituisca unequa retribuzione per M.. Infatti essa, pel periodo non prescritto (94/99) non apriva più la porta della Chiesa, mansione passata allaltra coadiutrice C.A. (pag. 7 ver. ud.). Esclusi i tempi religiosi della messa feriale dai tempi di lavoro (7.30. 8.00/ 8.45 9.15./ 18.30 19.00) rimane poco lavoro a prestazioni lavorative. Infatti dopo le ore 19 tutte le voci processuali hanno detto che M. era disturbata dal parroco. Le di lei prestazioni si limitavano quindi alla preparazione delle ostie per le tre messe feriali e alla preparazione degli indumenti sacri una volta terminate le messe. Per il sabato e la domenica nulla e richiesto da M. in ricorso. Limpegno maggiore dellattrice era la sua presenza in libreria. Trattasi di un piccolo vano che pone alla disponibilità dei fedeli libri di argomento religioso i cui proventi erano incamerati dal parroco don T. per le esigenze comuni di quella piccola comunità di V., frazione del comune di C.. Tuttavia in quella piccola libreria i collaboratori di don T. erano diversi. Sul punto la teste C.A. ha detto:" Al giovedì vendevo io i libri. M. veniva saltuariamente. Gli altri giorni vi erano altri volontari". (verb. ud. pag.7) M.L., altra volontaria della libreria, ha riferito: "La M. veniva da me e mi dava una mano, faceva volontariato. lo la sostituivo quando la signora andava a Milano a prendere i libri". Come si vede, le voci dibattimentali hanno indicato un impegno di M. in libreria saltuario nella settimana e sporadico nella giornata. In conclusione le prestazioni richieste dalla parrocchia a M. appaiono essere prevalentemente quelle, quotidiane ma brevissime, indicate da C. che ha detto: "I primi tempi la signora M. chiudeva tutti i servizi ........, portava il vino e le ostie, lei cambiava la biancheria sacra pero la lavavano i volontari. Era sempre la S. che li portava in lavanderia". (verb. ud. pag. 7) "l primi due anni portava il calice ed il libro allaltare, poi non ha fatto più niente" (verb. ud. pag.8). Due o tre volte al mese poi, M. doveva allestire insieme ad altri la chiesa per alcune cerimonie sacramentali: "M. doveva preparare la Chiesa ai matrimoni, funerali, doveva mettere il tappeto" (si faceva aiutare dal figlio) ( verb. ud. pag.9). Pare al decidente che la somma di L.900.000 mensile, corrispondente al canone di locazione per la casa parrocchiale, rappresenta una equa retribuzione per la ricorrente. Tale valutazione è oggettiva ed attiene alla qualità ed alla quantità del lavoro prestato. Dal punto di vista soggettivo - dignità della persona umana - L. 900.000 mensili rappresentano una paga più che adeguata per M., la quale entrò nella casa parrocchiale allorché il marito ed i due figli conviventi percepivano un salario volti al sostentamento di tutta la famiglia. Successivamente lattrice consegui un titolo di pranoterapeuta come dimostra il biglietto da visita prodotto in copia da parte resistente. In entrambi i periodi temporali quindi M. fruiva di un reddito sufficiente e comunque tale da far ritenere L.900.000 mensili equa retribuzione. Cosi inquadrato il rapporto giuridico tra le parti, M. quale lavoratrice subordinata avrebbe diritto solo agli emolumenti fissati dalla legge. Non a quelli indicati dal CCNL sacristi cui essa era estranea, tanto quanto la parrocchia. Orbene il TFR e una forma di retribuzione differita cui ciascun lavoratore ha diritto. M. dovrebbe ricevere il TFR equivalente alla remunerazione di L.10.000.000 annui. Tale cifra e inferiore a quella che era stata offerta - invano - a M., nelle more del giudizio, per la transazione. Insomma tutte le domande attrici sono da respingere. Laccoglimento ed il rigetto delle rispettive deduzioni suggerisce di compensare totalmente le spese processuali. Gli interessi legali dalla data della domanda decorrono come per legge. P. Q. M. Rigettata ogni altra istanza, eccezione e deduzione dichiara che il rapporto giuridico intercorso tra M.A. e la Parrocchia S.P.P. di V. di C. non e da qualificarsi come lavoro subordinato e per leffetto respinge le domande della M.. Ordina la totale compensazione delle spese processuali. Como, 10.03.99 IL PRETORE IL COLL. DI CANCELLERIA |